Presso i locali dell'enoteca VolodiVino, per tutto il mese di dicembre, è in corso l'esposizione personale di Maurizio Tiberti dal titolo Enotauro
Porta lontano la Mostra Personale di Maurizio Tiberti, con istallazioni, site specific e oggetti paradosso, allestita non a caso in Montefiascone, Viterbo, territorio a forte vocazione vinicola.
La performance dinamica e polimaterica richiama l’invenzione del vino che nel suo processo di trasformazione è metamorfosi per eccellenza e, tra pienezza vitale e potenza letale, indica la natura ambivalente, umida e ignea, di Dioniso.
Il percorso proposto dalla Mostra riconosce il Ciclo Mitico, la sua energia simbolica, l’attualità e la forza del trasmutarsi nel ripercorrere, nel raccontare oggi, nel reinventarsi.
Seguendo il FILO DI ARIANNA si entra in forme pre-logiche della conoscenza fino al limen tra umano e ferino arcaico, alla soglia della sconfitta del cannibalismo avvenuto grazie alla acquisizione delle coltivazioni come cereali, ulivo, vite. Gli artefici dell’operazione sono tutte le deità del Mediterraneo, Iside e Osiride raccontati da J.G. Frazer, non solo Dioniso.
Questi doni sono conferiti agli umani dai numi ctoni tutelari che, con la loro ricorsiva apparente scomparsa, l’interruzione stagionale della vita botanica e l’iniziazione a cicli di trasformazione come il vino, evocano la vita e la morte.
I rituali dionisiaci che simulavano con urla lo smembrare e fagocitare il dio ed esorcizzata l’omofagia, conferivano alle libagioni di vino sacralità, somiglianze tra vino e sangue, simbologia di offerta e sacrificio.
Il vino, come il sacrificio cruento di estrema memoria, è una trasmutazione: il procedimento alchemico trasformativo che va dal prodotto naturale, l’uva o l’animale da sacrificare, diviene per opera dell’uomo, vino o l’offerta agli dei. Il vino e l’atto sacro del sacrificare, suggeriscono ebbrezza ed estasi e una sorta di avvicinamento al divino.
Il MINOTAURO, stilizzato come ultimo totem, racconta incisa nei suoi tatoo la vicenda cretese e allude già nei materiali usati, alla cosmogonia dei metalli.
L’uso ironico dei pezzi del “meccano” e il VIAGGIO DI ICARO, “oggetto dell’assurdo”, esasperano l’attributo ludico proprio del Mito, tanto per sfuggire alla tensione indotta dai significati, e rifugiarsi nelle metafore della condizione umana. Come il riso, altro connotato dionisiaco che è la reazione possibile al tabù e il tentativo di superarlo avendolo riconosciuto, il vino è portatore del sonno e dell’oblio che contrasta il dolore e il ricordo incurabile.
L’istallazione ARIANNA E DIONISO è il manifesto al quale Ovidio fornisce, in chiave di calligramma, la possibilità tautologica di mostrare e nominare insieme.
Archetipo del vino, il mito naturalistico parla di un dio la cui essenza si confonde con la vita scaturente dalle viscere del suolo: grazie alla narrazione il mito rinasce per risalire alle stelle a costituire la mappa mitologica delle incorruttibili costellazioni. Ancora sopravvive come alfabeto del cielo.
Anna Giannandrea
La performance dinamica e polimaterica richiama l’invenzione del vino che nel suo processo di trasformazione è metamorfosi per eccellenza e, tra pienezza vitale e potenza letale, indica la natura ambivalente, umida e ignea, di Dioniso.
Il percorso proposto dalla Mostra riconosce il Ciclo Mitico, la sua energia simbolica, l’attualità e la forza del trasmutarsi nel ripercorrere, nel raccontare oggi, nel reinventarsi.
Seguendo il FILO DI ARIANNA si entra in forme pre-logiche della conoscenza fino al limen tra umano e ferino arcaico, alla soglia della sconfitta del cannibalismo avvenuto grazie alla acquisizione delle coltivazioni come cereali, ulivo, vite. Gli artefici dell’operazione sono tutte le deità del Mediterraneo, Iside e Osiride raccontati da J.G. Frazer, non solo Dioniso.
Questi doni sono conferiti agli umani dai numi ctoni tutelari che, con la loro ricorsiva apparente scomparsa, l’interruzione stagionale della vita botanica e l’iniziazione a cicli di trasformazione come il vino, evocano la vita e la morte.
I rituali dionisiaci che simulavano con urla lo smembrare e fagocitare il dio ed esorcizzata l’omofagia, conferivano alle libagioni di vino sacralità, somiglianze tra vino e sangue, simbologia di offerta e sacrificio.
Il vino, come il sacrificio cruento di estrema memoria, è una trasmutazione: il procedimento alchemico trasformativo che va dal prodotto naturale, l’uva o l’animale da sacrificare, diviene per opera dell’uomo, vino o l’offerta agli dei. Il vino e l’atto sacro del sacrificare, suggeriscono ebbrezza ed estasi e una sorta di avvicinamento al divino.
Il MINOTAURO, stilizzato come ultimo totem, racconta incisa nei suoi tatoo la vicenda cretese e allude già nei materiali usati, alla cosmogonia dei metalli.
L’uso ironico dei pezzi del “meccano” e il VIAGGIO DI ICARO, “oggetto dell’assurdo”, esasperano l’attributo ludico proprio del Mito, tanto per sfuggire alla tensione indotta dai significati, e rifugiarsi nelle metafore della condizione umana. Come il riso, altro connotato dionisiaco che è la reazione possibile al tabù e il tentativo di superarlo avendolo riconosciuto, il vino è portatore del sonno e dell’oblio che contrasta il dolore e il ricordo incurabile.
L’istallazione ARIANNA E DIONISO è il manifesto al quale Ovidio fornisce, in chiave di calligramma, la possibilità tautologica di mostrare e nominare insieme.
Archetipo del vino, il mito naturalistico parla di un dio la cui essenza si confonde con la vita scaturente dalle viscere del suolo: grazie alla narrazione il mito rinasce per risalire alle stelle a costituire la mappa mitologica delle incorruttibili costellazioni. Ancora sopravvive come alfabeto del cielo.
Anna Giannandrea
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